15 Apr Teatro Comunale Giuseppe Verdi
l teatro comunale Giuseppe Verdi di Gorizia ha alle spalle una storia lunga oltre 250 anni. Una storia complessa in cui le vicende del teatro si intrecciano, e come potrebbe essere diversamente, con quelle politiche, economiche e sociali della Città oltre che, ovviamente, con quelle più strettamente culturali. Un teatro che può raccontare l’avvicendarsi di Stati, e all’interno dello stesso Stato il succedersi di fasi politiche profondamente diverse, che ha attraversato le campagne napoleoniche della fine settecento inizi ottocento e le due guerre mondiali del secolo scorso, che ha vissuto periodi di lustro e fama ma anche momenti di decadenza e marginalità.
Una storia che, per sommi capi, inizia con l’inaugurazione nella primavera del 1740 del “Teatro nuovo di Gorizia” detto anche teatro Bandeu dal nome del fondatore e proprietario. Andato a fuoco nel 1779, venne riedificato, sempre dalla famiglia Bandeu, e riaperto nel 1781 con un numero superiore di palchi e con l’aggiunta di un ridotto per i nobili, sale da gioco, guardaroba e sale da bilardo nonché una bottega del caffè. Inoltre la facciata ottenne un portico per ricevere le carrozze. Dopo una serie di cambi di mano nella proprietà, nel 1810 il teatro divenne Teatro di Società, allorquando fu acquistato da una società, composta da una cinquantina di soci privati, che agiva con chiaro e deciso spirito imprenditoriale. Prima dell’inaugurazione, il 26 dicembre dello stesso anno, vennero eseguiti interventi di restauro e rinnovamento sia sulle opere murarie sia sulle decorazioni interne. Un’importante ristrutturazione ebbe poi luogo nel 1856 su progetto di Andrea Scala. In particolare venne demolito il quarto ordine dei palchi sostituito da una galleria ovvero dal loggione al tempo detto “gubbione” o “paradiso”. Inoltre vennero ridipinti palchi e platea e rifatte le dorature.
Negli anni seguenti furono apportate tutta una serie di migliorie all’esterno e l’apertura di nuovi spazi tra i quali, dal 1863, il Casino del teatro inizialmente aperto solo agli aristocratici e dal 1871 anche agli esponenti della “civile società”. Gli ultimi rilevanti interventi, peraltro preceduti da ammodernamenti ed adeguamenti tecnici, prima del conflitto mondiale furono eseguiti tra il 1887 e il 1899 anno nel quale, il 4 novembre, il teatro riaprì con la rappresentazione dell’Aida di Verdi. Nonostante i danni relativamente poco pesanti causati dai bombardamenti durante la Grande Guerra, il teatro, intitolato a Verdi dal novembre del 1901, negli anni successivi vide progressivamente ridurre l’attività fino alla chiusura dello stabile avvenuta, per ragioni di sicurezza, nel 1932. La ristrutturazione venne, quindi, affidata ad Umberto Curzi, architetto razionalista, e quando il 15 febbraio 1938 viene inaugurato il nuovo “Cine-teatro Verdi” lo stabile, rimasto invariato all’esterno, appare completamente trasformato all’interno, divenuto ormai un contenitore plurifunzionale che, nel tempo, vedrà prevalere la destinazione a cinematografo. Uso che verrà mantenuto, pur con limitate eccezioni a favore di spettacoli di prosa e di musica, anche durante tutto il secondo dopoguerra fino a quando la crisi dei cinematografi, che incominciò a manifestarsi dai primi anni ’70, porterà nel 1986 gli ultimi gestori privati a cedere il complesso del Verdi all’Amministrazione comunale, la quale, tra molte difficoltà, manterrà lo stabile aperto fino al 1993.
Il resto è storia recente, con i lavori dell’ultima ristrutturazione al termine della quale (aprile 2002) il teatro assume l’aspetto attuale. Una soluzione ricostruttiva/innovativa, quella proposta dai progettisti, gli architetti Grusovin e Picotti, con la quale si è voluto trovare una sintesi rispettosa della storia dell’edificio, evitando sia di ignorare la storia bicentenaria di quelle mura perimetrali e del loro contenuto, di quell’esser stato, il Verdi, un vero teatro all’italiana, sia di ignorare, per contro, l’esperienza razionalista degli anni trenta che ne aveva stravolto, per l’appunto, la fisionomia ottocentesca.